Pubblichiamo di seguito la relazione presentata nel corso del Congresso fondativo di Veneto Sì dall’avv. Franco Correzzola sul diritto di autodeterminazione dei Popoli
Nel vivace dibattito giuridico e dottrinale che oggi si sforza di trovare una definizione comune del principio di autodeterminazione dei popoli (in inglese selfdetermination) viene spesso ingiustamente dimenticata l’importanza storica del discorso “dei Quattordici punti” pronunciato dal Presidente U.S. Woodward Wilson in data 8 Gennaio 1918.
Il documento, redatto in base agli studi e suggerimenti di apposita commissione di esperti (The Enquiry) nominata dal Presidente Wilson nel 1917, ebbe grande risalto ed anticipò la Conferenza di Pace di Parigi.
Unica tra le potenze vincitrici, la presidenza U.S. decise di esprimere chiaramente i propri obiettivi e condizioni per la sottoscrizione della pace all’indetta Conferenza.
Vale la pena rammentare in sintesi i famosi “Quattrodici Punti” (poi saliti di numero invero):
1) l’eliminazione dei patti segreti tra le potenze in favore di una maggiore trasparenza degli accordi;
2) la necessità di garantire per il futuro la libera navigazione sui mari;
3) l’eliminazione delle barriere economiche tra i Paesi;
4) la riduzione degli armamenti ai limiti necessari per soli scopi difensivi;
5) la definizione dei contenziosi coloniali con equo rispetto dei diritti delle popolazioni interessate;
6) la liberazione da forze militari esterne dei territori russi;
7) la liberazione da forze militari esterne del Belgio e restaurazione della sua piena sovranità;
8) la restituzione alla Francia dei territori (Alsazia e Lorena) sottratti dalla Prussia nella guerra del 1870;
9) il riassetto delle frontiere italiane;
10) la divisione in entità autonome e sovrane del Regno di Austria ed Ungheria;
11) la liberazione e restaurazione dei Regni di Romania, Serbia e Montenegro, con garanzia di accesso al mare per la Serbia e sviluppo dell’indipendenza piena di parecchi Stati balcanici;
12) la divisione dell’Impero Ottomano in più entità statali, con garanzia di piena indipendenza per la Turchia, nel rispetto delle minoranze presenti sul territorio;
13) la costituzione di uno stato polacco sovrano ed indipendente;
14) la costituzione di una Società delle Nazioni con lo scopo di affrontare e gestire le reciproche dispute in modo pacifico, con garanzia dell’integrità territoriale ed indipendenza politica degli Stati appartenenti, in conformità a principi di decisione condivisa.
Particolarmente interessante è la soluzione prospettata dagli accordi di pace per la definizione dei confini austriaci moderni, aspramente contesi dalle potenze confinanti.
A fronte di una attribuzione diretta di alcuni territori all’Italia (sostanzialmente il Tirolo del Sud, incluse le province di Trento e Bolzano, nonché Tarvisio e la Val Canale) ed al Regno dei Serbi- Croati e Sloveni (Unterdrauburg ed alcune valli contigue) si decise di coinvolgere la popolazione della Carinzia del Sud nella decisione sul proprio destino.
Infatti, la Presidenza Wilson aveva incaricato una missione diplomatico militare (guidata da Archibald Cary Coolidge e Sherman Miles) di relazionare le potenze vincitrici sulla particolare situazione afferente il Ducato della Carinzia del Sud.
Il colonnello Miles, resosi conto della singolarità del territorio carinziano, propose di coinvolgere la popolazione nella decisione attraverso l’indizione di un plebiscito referendario.
Il Ducato di Carinzia, abitato dai paleoveneti e carnici fin dall’antichità, aveva mantenuto una sua autonomia per tutta la durata del Sacro Romano Impero, fino a divenire una proprietà degli Asburgo.
La popolazione era prevalentemente di lingua tedesca, ma le zone sud-orientali erano prevalentemente abitate da gente di lingua slava.
Le truppe del Regno dei Serbi-Croati e Sloveni avevano cercato di far valere un diritto di fatto attraverso l’occupazione militare dell’area fino alle città di Klagenfurt e Villaco, scatenando la rivolta armata delle popolazioni tedesche che avevano riconquistato le posizioni a Nord del fiume Drau fino alla città di Ferlach .
Sherman Miles propose di prendere a riferimento come linea di confine i monti che separavano la Drava dalla Slovenia ovvero la linea di displuvio delle Caravanche, ma quest’ultima proposta incontro notevoli resistenze tra le Parti interessate.
Si decise quindi, come descritto in maniera dettagliata nell’accordo di Saint Germain, di separare temporaneamente il territorio in due zone: la B ovvero la città di Klagenfurth e dintorni, posta temporaneamente sotto amministrazione austriaca, e la zona A, posta temporaneamente sotto amministrazione delle truppe Serbo-Croate e Slovene.
La zona A avrebbe dovuto pronunciarsi con un Plebiscito, indetto per la data del 10 Ottobre 1919, sul passaggio al Regno dei Serbi-Croati e Sloveni.
In caso di esito positivo, si sarebbe tenuto analogo Plebiscito anche nella zona B.
Particolare significativo è dato dal fatto che furono chiamati a votare tutti i soggetti residenti al 1
Gennaio 1919, senza distinzione di sesso, purché nativi della zona od ivi residenti almeno a far data dal 1 Gennaio 1912.
L’esito fu tutt’altro che scontato: la popolazione, in prevalenza di lingua slava, della zona A si espresse per il mantenimento dell’unione della Carinzia, rendendo di fatto superflua la consultazione nella zona B.
Di fatto, poiché il 68% della popolazione era di lingua slovena e risultò che il 59,04 % dei votanti si erano espressi per l’unitarietà della Carinzia, si deve dedurre che il 40% della popolazione slovena scelse di restare in Austria.
La cosa non dovette sorprendere il colonnello Miles, il quale aveva già notato come gli abitanti sloveni fossero storicamente inseriti nel Ducato di Carinzia con prevalenti rapporti economici verso le città di Graz e Klagenfurt, avendo poco a che spartire con i connazionali a Sudest del confine. Inizialmente la decisione non venne accettata dal Regno Serbo-Croato e Sloveno, che cercò di far valere i diritti di forza ed il vantaggio dell’occupazione militare dei territori, ma poiché pacta sunt servanda, in data 18 Novembre dovettero passare le consegne.
L’esito non fu mai più contestato, neppure durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Un referendum proposto inizialmente per ragioni strettamente nazionalistiche, ebbe pertanto un esito ben più ragionevole: più saggi dei proponenti furono gli elettori che tennero a mantenere inalterati i rapporti storico ed economici correnti, avendo assimilata ed apprezzata la riconosciuta efficienza dell’amministrazione e cultura asburgica.
Il principio di autodeterminazione dei popoli espresso da Wilson, che aveva trovato una prima coerente applicazione proprio con gli accordi di Saint Germain, successivamente fu la base teorica (vedi la Resolution 1514 dell’Assemblea Generale U.N., Declaration on the granting of independence to colonial Countries and Peoples) che portò alla dissoluzione delle potenze coloniali. Il Discorso dei c.d. Quattordici Punti del Presidente Wilson ispirò profondamente il movimento Samil Undong per la proclamazione dell’indipendenza della Korea, all’epoca occupata dal Giappone, altrimenti definito anche come Movimento del Primo Marzo (1919).
L’occupazione militare giapponese risaliva agli esiti della Guerra del 1905, permanendo una sostanziale disparità di trattamento a sfavore dei cittadini coreani rispetto ai giapponesi.
Le rivendicazioni dei trentatré sottoscrittori della Dichiarazione d’Indipendenza vertevano sulle seguenti doglianze:
1) il Governo giapponese discriminava i dipendenti coreani per trattamento e privilegi;
2) nel Governo era lamentata l’assenza di rappresentanti coreani in ruoli di prestigio;
3) vi era una evidente disparità di accesso alla educazione superiore;
4) in generale i coreani subivano una disparità di trattamento;
5) i funzionari governativi, coreani o giapponesi che fossero, erano arroganti;
6) non vi era sufficiente azione per il riconoscimento dei meriti dei coreani dotati di istruzione superiore;
7) i procedimenti amministrativi erano troppo complessi e le leggi pubblicate così sovente che era impossibile per i coreani poterle osservare puntualmente con ovvie negative conseguenze;
8) vi era una massa indesiderata dal governo di forza lavoro coreana;
9) le tasse erano troppo pesanti ed esagerate, i coreani dovevano pagare sempre più di prima ricevendo in cambio i medesimi servizi;
10) la terra era spesso confiscata dai giapponesi per ragioni particolari;
11) gli insegnanti coreani erano ostacolati al fine di disperdere le loro tradizioni e cultura;
12) gli sforzi per lo sviluppo dei coreani erano interamente devoluti nell’interesse dei giapponesi e da ciò i coreani medesimi non traevano vantaggio.
Indubbio che talune delle rivendicazioni sono di grande attualità odierna, nel definire le condizioni di oggettivo svantaggio che la dottrina ritiene necessarie al riconoscimento di un diritto soggettivo d’autodeterminazione.
Ciononostante, pare a me che il diritto di autodeterminazione non abbia ancora trovato una sufficiente specificazione giuridica, nel rispetto del principio naturale riconosciuto e citato nel discorso di Wilson.
La questione dell’autodeterminazione dei popoli (rectius diritto di autodeterminazione) pare a me allo stato della tecnica, cristallizzata su alcuni dogmi:
a) non esiste un diritto soggettivo a secedere dei popoli, ma dichiarare l’indipendenza non è illegittimo per il diritto internazionale e per la maggior parte dei diritti costituzionali interni (il nostro ad esempio nulla dice in merito, quindi né autorizza né punisce come reato per il principio nulla poena sine lege);
b) il diritto di autodeterminazione dei popoli pacificamente riconosciuto è quello c.d. Interno, ossia quello che non incide sui limiti territoriali degli Stati (uno per tutti, il Trattato del C.of E. del 1985, reso esecutivo in Italia nel 1990) non intaccando la c.d. Sovranità nazionale degli Stati medesimi;
c) la remedial secession non è illegittima, ma viene vista come un caso eccezionale e giustificata se sussiste un’occupazione coloniale o straniera ovvero evidenti, continue e perseveranti discriminazioni;
d) i giuristi sono, giustamente terrorizzati dal disordine e confermano la sola legittimità di processi che si sviluppino a mezzo di negoziazione garantista con modalità pacifiche di esercizio del diritto; una secessione che possiamo definire in stile cecoslovacco;
e) per evitare eccessive frammentazioni, non alle minoranze ma solo ai popoli spetta l’esercizio del diritto e, se motivato da discriminazione, le stesse debbono essere compiutamente elencate.
Al momento, queste sono le opinioni prevalenti, ma ritengo che lentamente il cammino si muoverà verso il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo, una volta superati alcuni problemi quali l’individuazione dell’organo competente a decidere sull’azione a tutela del diritto stesso.
E’ una mia convinzione che i veri motivi d’impulso ala base di ogni volontà indipendentista siano disgiunti dal concetto strettamente nazionalistico, ma vadano ravvisati in una Heimat rappresentata da ciò che è condiviso culturalmente, storicamente, geograficamente ed economicamente.
Finora si è cercato di limitare i rischi di tensione interna foriera di potenziale violenza e disordine attraverso la fusione in entità di maggior livello rispetto allo Stato tradizionale, come nel caso della Unione Europea, ma in tutta evidenza si è arrivati ad un punto limite ove il grande non significa più bello ed appare decisamente distaccato dai popoli ed individui, non è più Heimat.
Ritengo pertanto utile rammentare che la Unione Europea è nata come Comunità Economica
Europea.
Il superamento stesso del concetto di autodeterminazione interna può avvenire attraverso una ridefinizione del concetto di sovranità statale.
La stessa pare oggi del tutto obsoleta, prendendo atto della delega massiva di poteri all’Unione Europea da parte degli Stati aderenti; qual’è oggi il limite di sovranità territoriale? La frontiera del Brennero oppure l’area Schengen?
I fatti dimostrano come in fondo confini ed identità statali non siano immutabili, ma seguano le necessità dei tempi.
Propongo pertanto il recupero integrale dell’idea di autodeterminazione esposta nel Discorso di Wilson ed, accogliendo l’insegnamento tratto dal Referendum della Carinzia del Sud del 1919, addivenire al principio di autodeterminazione funzionale.
Un passaggio dall’idea di autodeterminazione come ristorazione dei diritti lesi, alla autodeterminazione come realizzazione della felicità (insegnamento tratto dal lavoro di Cesare Beccaria ed accolto da Thomas Jefferson nella Costituzione Americana); forse questo riuscirà a dare giustizia alla nostra Heimat riservando i poteri di sovranità delegati alla Comunità Europea.
Sul come si debba procedere, ritengo che oggi sia stata tracciata una via importante, attraverso l’opera della Venice Commission, istituzione fondata dal Council of Europe nel 1990 con il significativo nome di European Commision for Democracy Through Law.
Detta Commissione di esperti, dopo aver espresso importanti lavori di analisi del tema (vedi il
Report 10-11 Dicembre Self-Determination ad Secession in Costitutional Law e la Opinion in data
21-22 Marzo 2014 sul caso Crimea) si è curata di predisporre un Codice di Buona Condotta sui
Referendum (adottato dal Consiglio per le Elezioni Democratiche nel corso della riunione del
16.12.2006 e dalla Venice Commission in data 16-17 Marzo 2007).
Ritengo pertanto che oggi esista, superati i limiti delle rispettive previsioni costituzionali, un metodo ed un giudice per la realizzazione delle consultazioni referendarie di autodeterminazione.
In futuro, potrà configurarsi l’ipotesi di secessioni non remediali ossia dettate dallo stato di necessità per garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali, ma funzionali al conseguimento di un miglioramento dell’esercizio della gestione dei poteri di sovranità, in maniera analoga a quanto affermato per i poteri locali dalla European Charter of Local Self-Government del 1985.
avv. Franco Correzzola
il discorso dell’avvocato Correzzola è stato molto interessante per gli spunti storici e giuridici che sottendono all’Indipendenza dei popoli, con una evoluzione dei principi appellati e una variegata casistica applicativa nell’ultimo secolo… è comunque un percorso che noi in parte, e fondamentale, abbiamo già fatto, ma la conclusione del discorso mi è rimasta impressa perchè lapalissiana: non basta dirci che siamo indipendenti avendolo affermato con il SI al Referendum perchè senza che questo venga riconosciuto all’esterno, dagli altri, non ha valore…
Non so se ho capito bene, ma non è solo così, perchè è vero che viviamo in un consesso di relazioni internazionali, ma la vera forza è nel popolo e nella sua capacità di organizzarsi per esprimere se stesso e le sue potenzialità…
per questo mi sono iscritta convintamente a VENETO SI.