L’indipendenza delle Regioni produttive sarà il fattore chiave dell’Agenda Europea dei prossimi 15 anni
Dopo l’emozionante dichiarazione di indipendenza della Repubblica Catalana proclamata venerdì 27 ottobre scorso dal Parlamento di Barcellona, ora è partita una fase di transizione verso la realizzazione concreta del nuovo stato.
La Spagna com’era prevedibile ha acceso “l’opzione nucleare” applicando l’art. 155 della costituzione spagnola con la cessazione dell’autonomia della Catalogna e annunciando elezioni anticipate per il prossimo 21 dicembre.
Ora molti interrogativi emergono: la Repubblica Catalana affronterà frontalmente lo stato spagnolo, opponendosi alla sua giurisdizione, oppure tenterà di “disinnescarne” la sovranità con azioni di disobbedienza civile?
La strategia che pare emergere nella leadership catalana pare essere proprio quest’ultima, che si traduce nella resistenza pacifica e democratica, perserveranza e prospettiva annunciata ieri dal Presidente Carles Puigdemont. Rafforzata quindi dalle dichiarazioni di Oriol Junqueras, numero due del governo catalano e leader del primo partito indipendentista, Esquerra Republicana de Catalunya, che rilancia anche non escludendo a priori la partecipazione anche alle elezioni del 21 dicembre.
In un editoriale odierno, Vincent Partal, direttore di VilaWeb, rafforza tale scenario, sposando l’idea della sterilizzazione degli effetti dell’applicazione dell’art. 155 della costituzione spagnola.
Vedremo nei prossimi giorni come si articolerà tale strategia, o se addirittura si procederà anche all’arresto delle principali cariche della Repubblica Catalana, a cominciare dal suo presidente, anche se l’impressione è che forse il governo spagnolo non abbia il coraggio di applicare una nuova stretta violenta sulla Catalogna, anche perché è stato avvisato in tal senso proprio dall’Unione Europea.
Molto significativo ci appare un articolo pubblicato ancora alcuni giorni fa da El Pais (quotidiano vicino al PSOE, partito socialista e unionista) sui problemi pratici che la Spagna può incontrare nella “normalizzazione della Catalogna”. I principali fattori critici che lo stato spagnolo incontrerà, secondo El Pais, sono:
1. Resistenza attiva. Al di là delle cariche apicali del governo catalano, che possono essere rimosse o incarcerate, resta il problema delle cariche pubbliche, ad esempio nelle tv catalane, o nei Mossos d’Esquadra (17.000 poliziotti, che hanno in pratica il controllo del territorio sotto il profilo dell’ordine pubblico).
2. Resistenza passiva: la Catalogna gode di una struttura di oltre 200.000 funzionari e dipendenti pubblici che sono nella grande maggioranza a favore della Repubblica Catalana. Non sarà semplice per l’amministrazione centrale spagnola farsi obbedire né sostituire tale struttura molto radicata, costruita in 40 anni di governo autonomista-indipendentista.
3. Il tempo. Le pressioni del PSOE e di Ciudadanos sono state decisive per imporre a Rajoy una risoluzione dell’articolo 155 in pochi mesi. Questo è stato un modo per sottolineare una situazione intermedia breve e per rassicurare l’opinione pubblica catalana – e spagnola. Ma tale compromesso temporale rende ancora meno praticabile la possibilità di costruire una sorta di “amministrazione parallela” o indotta. La stessa sostituzione di funzionari di alto livello richiederebbe complesse procedure amministrative, nel tempo. Significa che l’unico modo per realizzare lo scenario del 155 in pochi mesi prima delle elezioni sarebbe per il governo centrale trovare in Catalogna un’amministrazione fedele. E lo scenario reale è esattamente l’opposto.
4. L’inesistenza delle strutture dello stato in Catalogna. Solo il 9% dei dipendenti pubblici della Catalogna provengono dal governo centrale. Questo fu anche il motivo principale dell’incapacità del governo spagnolo nell’impedire la celebrazione del referendum di indipendenza del 1° ottobre, lasciando aperta solo l’opzione della violenza poliziesca. La presenza dello stato spagnolo in Catalogna è solo residuale e simbolica e circoscritta alle funzioni del Tesoro e della previdenza sociale.
5. La precarietà dello stato spagnolo. Il potere e il peso dello Stato spagnolo hanno più a che fare con una visione mitica (o mistica) che con una realtà operativa. Al di là della crisi catalana, lo Stato è esposto a una carenza di autorità e di funzionamento. Sia per i trasferimenti alle comunità autonome sia per la politica di privatizzazione – non è lo stato a portare nelle case il telefono, o il gas, o la luce e ha poco impatto sulla motivazione dei funzionari addetti a tali funzioni, che sono per la maggior parte nel settore privato.
Nel contempo vanno messe in evidenza le difficoltà che invece ha il blocco indipendentista in questo stesso scenario:
1. un evidente isolamento internazionale. Nessuno stato di peso probabilmente si muoverà in modo diretto per aiutare la Repubblica Catalana, finché essa non avrà dimostrato la propria sussistenza e capacità sovrana. Né può resistere a lungo uno stato indipendente che resti isolato nell’attuale mondo globalizzato e interdipendente.
2. Una fragilità infrastrutturale. Alcune infrastrutture critiche, quali la rete energetica, aeroportuale, di telecomunicazioni e internet in primis, possono essere in un qualche modo smantellate o disarticolate dallo stato centrale, come risposta estrema a un esercizio diretto della sovranità da parte della Repubblica Catalana.
3. L’esercito e le forze speciali. Il potere militare resta saldamente in mano alla Spagna e per quanto extrema ratio resta pur sempre una carta che potrebbe essere decisiva quanto odiosa.
4. La divisione della società civile catalana. Esiste una forte minoranza spagnolista, o contraria all’indipendenza. Questa troverà, come sta trovando, grande appoggio da parte del governo spagnolo, fino all’autorizzazione ad operare alle squadracce franchiste dell’estrema destra che già si stanno attrezzando per usare l’arma della paura verso la popolazione catalana.
5. La stabilità economica, che richiede un tempo il più breve possibile per risolvere la situazione, per non rischiare di perdere operatori economici preoccupati dall’instabilità politica che potrebbero acuire il problema delle imprese che lasciano la Catalogna.
Per tali ragioni capiamo e condividiamo la scelta strategica di Puigdemont: solo la pazienza sapiente di chi sa di avere in mano il pieno diritto alla propria indipendenza e una visione superiore potranno permettere di esercitare la propria sovranità dopo l’attuale fase transitoria dalla Regione della Catalogna alla Repubblica Catalana.
Non esiste tecnicamente la possibilità che la Spagna possa riprendere controllo della Catalogna con la sola opzione militare né tantomeno assoggettare il suo popolo pacifico, determinato e molto ben organizzato, nell’anno domini 2017. Pertanto ai Paesi occidentali converrà molto rapidamente considerare l’opzione di riconoscere la Catalogna, per evitare che qualche altra potenza si inserisca nel vuoto, aprendo la porta a possibili spostamenti geopolitici nel cuore d’Europa.
Una cosa infatti è certa: l’indipendenza delle Regioni produttive sarà il fattore chiave dell’Agenda Europea dei prossimi 15 anni
Plebiscito.eu / Veneto Sì