Emerge sempre più forte la polarizzazione del mondo politico americano a sole due settimane dall’ingresso di Donald J. Trump alla Casa Bianca.
Non si spegne ancora infatti l’eco delle vicende relative alle azioni che secondo le agenzie di intelligence USA avrebbero determinato una sorta di hacking delle elezioni presidenziali statunitensi da parte russa, come viene più ampiamente descritto nei report declassificati oggi resi pubblici anche al grande pubblico.
Certamente se le azioni fossero dimostrate potrebbero forse essere anche gravi, ma da un punto di vista squisitamente pragmatico emergerebbe un paradigma rovesciato, in quanto secondo la classica letteratura da Yalta in poi, quantomeno in una parte rilevante del mondo di solito erano gli USA ad essere descritti come governo che si “intrometteva” negli affari interni di altri Paesi. Spesso riuscendoci. E dimostrandone la sua potenza.
Se oggi fosse confermato tale scenario, ci troveremmo invece di fronte a qualcosa di nuovo. Ovvero alla capacità di un nuovo centro di influenza, la Russia, di influenzare l’esito politico in altri Paesi, tra i quali paradossalmente proprio l’America.
Ciò era impensabile qualche decennio fa. Ci immaginiamo infatti quale sorriso avrebbe suscitato negli anni ‘70 l’accusa alla “Pravda” di avere orchestrato una campagna di disinformazione tale da influenzare l’opinione pubblica americana?
Oggi invece qualcuno sorride meno all’idea che sia possibile un’influenza in tal senso da parte di “Russia Today”, anche se la Russia non ha certamente più alle spalle la potenza militare di cui godeva l’Unione Sovietica, quantomeno in termini comparati.
Significa forse che Putin è oggi più forte rispetto all’America di quanto non lo fossero all’epoca Stalin, Kruscev e Breznev? Obiettivamente non lo crediamo.
Al di là del furto delle email del Partito Democratico USA da parte di hacker che la CIA ritiene essere ispirati, guidati e agli ordini di Mosca, o dei paventati collegamenti tra Wikileaks e l’intelligence russa, ciò che ci impressiona di più è proprio la presunta debolezza che il sistema di opinione pubblica americana avrebbe invece di fronte alle azioni di comunicazione intraprese proprio dai media russi, come appunto RT.com o Sputnik, per non parlare della galassia in parte inesplorata che viene fatta rientrare nella fake news.
Ci chiediamo infatti come mai ciò possa accadere. E ci viene un grande dubbio.
Perché oggi le azioni russe secondo le agenzie federali USA possono avere enorme influenza, con molto meno sforzo di quanto fosse dispiegato in un’epoca diversa da una superpotenza come quella sovietica?
Il dubbio è il seguente. Non è che forse ad essere in crisi oggi sia proprio la narrativa dell’America? Non è che ad essere assente sia il Grande Sogno Americano, che alla fine risultava essere sempre l’arma vincente dei buoni contro i cattivi?
Cosa oggi manca agli USA per essere concepiti in modo intuitivo come i buoni che stanno dalla parte delle persone per bene, che vogliono far emergere l’idealità di fronte alla malvagità?
La grande divisione che oramai spacca la società americana in parti che paiono non capirsi più secondo più di qualcuno nascerebbe proprio da questa mancata volontà, o capacità di saper essere l’interprete del Grande Sogno Moderno.
Tale lacuna non potrà certo essere completata da una contrapposizione interna al nuovo presidente da parte di chi si ritiene essere portatore originale di tale forza narrativa, che oggi ha perso.
Ad essere in crisi, prima ancora dell’America, è Hollywood, che sapientemente sapeva dare forma ai sogni dell’America sul Grande Schermo. Oggi non c’è più il Grande Sogno Americano e non c’è più nemmeno il Grande Schermo per rappresentarlo. È stato sostituito da innumerevoli e spesso ripetitive se non noiose serie TV di Netflix e altri che ne hanno dintermediato la narrazione in una forma che non riesce a decollare come immaginario collettivo.
Ieri leggevo un commentatore su Newsweek che criticava Edward Snowden, lamentandosi tra l’altro, perché la sua vicenda apparirebbe convincente principalmente per merito della sua auto-narrazione e rappresentazione come film. Il punto è proprio questo. Perché nessun film ha fatto invece breccia per raccontare le vicende di Snowden, o anche di Assange, dal punto di vista delle istituzioni americane che ne sono state danneggiate? Un tempo non c’era questione più semplice – e di maggior successo – che far odiare al grande pubblico una spia che aveva tradito. Perché oggi avviene l’esatto contrario?
Non è che forse il problema americano sia proprio la mancanza di ispirazione, nel senso più profondo, culturale e artistica, nel suo momento di più grande crisi contemporanea, che si riflette nella crisi di ispirazione di tutto ciò che ne era collegato?
Gianluca Busato